Ubriachezza sul lavoro foto

Dipendente ubriaco sul lavoro: può essere sanzionato disciplinarmente fino al licenziamento?

 

L’ubriachezza sul luogo di lavoro è una fattispecie molto più comune di quello che si possa pensare: quali criticità deve affrontare il datore di lavoro che intenda contestare tale condotta?

Non è così inconsueto che il datore di lavoro sorprenda un proprio dipendente in uno stato di alterazione psico-fisica determinato dall’assunzione di bevande alcoliche, sia essa sporadica o legata a una vera e propria dipendenza patologica.

In tali evenienze, il datore di lavoro dovrà porre molta cautela nel decidere come intervenire nei confronti del lavoratore, poiché il quadro normativo e giurisprudenziale è piuttosto complesso.

Il datore di lavoro prima di intervenire disciplinarmente dovrà considerare due profili essenziali attinenti, da un lato, alla rilevanza disciplinare della condotta del lavoratore e, dall’altro, alla prova dello stato di ubriachezza (fondamentale nell’eventualità di un futuro giudizio di impugnazione della legittimità della sanzione).

In relazione al primo aspetto, possono verificarsi tre diverse fattispecie: (i) l’attività esercitata dal lavoratore rientra tra quelle classificate, ai sensi della L. n. 125/2001, come “attività lavorative che comportano un elevato rischio di infortuni sul lavoro ovvero per la sicurezza, l’incolumità o la salute dei terzi” (descritte nell’allegato A all’Intesa Conferenza Stato Regioni 13 luglio 2017), per le quali, ai sensi dell’art. 41, D.Lgs. n. 81/2008, è prevista la sorveglianza sanitaria obbligatoria; (ii) l’attività esercitata dal lavoratore non rientra tra quelle dell’Allegato A, ma l’ubriachezza sul luogo di lavoro è disciplinarmente sanzionata dal CCNL applicabile; (iii) l’attività esercitata dal lavoratore non rientra tra quelle dell’Allegato A ed il CCNL applicabile non prevede nulla rispetto all’ubriachezza del lavoratore.

Nel caso in cui l’attività esercitata dal lavoratore rientri tra le attività c.d. a rischio elevato (descritte nell’allegato A all’Intesa Conferenza Stato Regioni 13 luglio 2017), il datore di lavoro è obbligato ad effettuare la sorveglianza sanitaria, così da monitorare costantemente l’idoneità psicofisica di ciascun lavoratore sia in relazione ai fattori di rischio professionali sia alle specifiche mansioni cui sono adibiti. In tal caso, il datore di lavoro potrà procedere ad esami clinici (anche a sorpresa), volti ad accertare che il dipendente non abusi di bevande alcoliche (e/o non faccia uso di sostanze stupefacenti). Il profilo della sorveglianza sanitaria sarà approfondito in un successivo contributo.

Bisogna, poi, distinguere l’ipotesi in cui, al di fuori della fattispecie esaminata in precedenza, il CCNL applicato al rapporto di lavoro preveda lo stato di ubriachezza come comportamento disciplinarmente rilevante – in quanto tale contestabile e sanzionabile – dall’ipotesi in cui lo stesso non fornisca indicazioni al riguardo.

In via esemplificativa, si consideri il CCNL Metalmeccanici Aziende industriali che prevede la comminazione di sanzioni conservative (nello specifico, l’ammonizione scritta, la multa o la sospensione) nell’ipotesi in cui il lavoratore “venga trovato in stato di manifesta ubriachezza durante l’orario di lavoro”, ovvero l’irrogazione del licenziamento con preavviso nel caso di recidiva, quando siano stati comminati due provvedimenti di sospensione per la medesima condotta.

Ancora, il CCNL Autotrasporto Merci e Logistica prevede l’irrogazione della sanzione conservativa della sospensione dal servizio e dalla retribuzione da uno a dieci giorni per il “lavoratore che si presenti o si trovi in servizio in stato di ubriachezza”, nonché l’applicazione di sanzioni di grado immediatamente superiore in caso di recidiva.

Se, in ipotesi come quelle appena descritte, la contestabilità della condotta non è in discussione, essendo questa esplicitamente prevista dalla legge o dal CCNL applicabile, il tema è certamente più delicato nel caso in cui la fattispecie concreta non ricada nell’alveo della sorveglianza sanitaria obbligatoria o che il CCCNL applicato nulla preveda al riguardo .

A tal proposito è bene evidenziare che la giurisprudenza di legittimità ha posto l’accento, più che sullo stato di ebbrezza in quanto tale, sull’inidoneità del lavoratore a rendere la prestazione lavorativa, come conseguenza dello stato di alterazione psicofisica, così statuendo:  “la dipendenza da alcool non è di per sé motivo sufficiente a far venire meno la fiducia del datore di lavoro, essendo necessario accertare di volta in volta la condotta del dipendente, nella concretezza dello svolgimento del rapporto, così come per ogni altro lavoratore, alla stregua degli ordinari criteri stabiliti dalla legge e dal contratto collettivo, al fine di valutare la legittimità o meno della sanzione irrogata” (Cass. civ., sez. lav., 26.05.2001, n. 7192).  Nel caso di specie il licenziamento irrogato ad un dipendente bancario era stato ritenuto legittimo essendo stato accertato che il provvedimento non era stato adottato per il fatto in sé della patologia da cui questi era affetto, ma per taluni comportamenti particolarmente gravi dello stesso dipendente che, ancorché favoriti dal suo stato psichico alterato, avevano comportato discredito e disordine anche nei confronti della clientela.

La posizione assunta dalla Suprema Corte consente, dunque, di ricavare un principio che deve essere tenuto in debita considerazione dal datore di lavoro che si accinga a contestare lo stato di ubriachezza al proprio dipendente, ossia quello in forza del qualeil solo stato di ebbrezza non è di per sé sufficiente a legittimare la contestazione disciplinare, che sarebbe giustificata solo nella misura in cui lo stato di alterazione psico-fisica incidesse negativamente sul corretto e diligente adempimento della prestazione lavorativa.

Fermo quanto sopra, l’idoneità dello stato di ubriachezza a legittimare l’intervento disciplinare da parte del datore di lavoro deve essere vagliata anche in relazione alla reiterazione della condotta da parte del lavoratore.

A tal proposito la Suprema Corte, nel caso di un lavoratore che aveva ricevuto una lettera di contestazione di addebito consistente nell’essere stato colto in stato di ebbrezza sul luogo di lavoro, ha ritenuto il successivo licenziamento assistito da giusta causa, ponendo l’accento non solo sulla gravità della condotta ma anche sui numerosi (dodici!) precedenti disciplinari a carico del dipendente (Cass. civ., sez. lav., 10.09.2010, n. 19361).

Fermo quanto sopra, anche un singolo inadempimento, purché di notevole gravità, potrebbe giustificare l’irrogazione della sanzione espulsiva. È del 2006 una pronuncia del Tribunale del Lavoro di Savona, secondo cui la condotta del lavoratore (nella specie, dipendente di una pizzeria che svolgeva mansioni di addetto al forno) che si presenta al lavoro in condizioni di ubriachezza, provocando anche dei danni, rappresenta condizione sufficiente per giustificare il licenziamento per giusta causa (non consentendo la prosecuzione neppure provvisoria del rapporto di lavoro) o quantomeno per giustificato motivo soggettivo (Tribunale Savona, sez. lav., 21 giugno 2006).

Le riflessioni sino ad ora svolte ci introducono al secondo profilo oggetto del presente approfondimento, inerente la prova dello stato di ubriachezza.

Anche sotto tale profilo bisogna distinguere l’ipotesi in cui il lavoratore, in relazione alle mansioni svolte, sia soggetto all’obbligo di sorveglianza sanitaria oppure no.

Infatti, nella prima ipotesi, la legge prevede espressamente che il datore di lavoro non solo possa, ma debba verificare l’eventuale uso di sostanze alcoliche da parte del lavoratore, anche sottoponendolo a test clinici a sorpresa. E’ evidente che in tale situazione, la raccolta della prova dello stato di ubriachezza è molto facilitata, anche in considerazione del fatto che il rifiuto del lavoratore a sottoporsi a tali test costituirebbe un autonomo illecito sotto il profilo disciplinare.

La raccolta della prova dello stato di ubriachezza sul luogo di lavoro al di fuori della fattispecie della sorveglianza obbligatoria, come vedremo, risulta assai difficile.

Infatti, il datore di lavoro in tale ipotesi non può, senza il loro consenso, sottoporre i lavoratori a controlli clinici finalizzati all’accertamento dello stato di ubriachezza.

In un caso siffatto l’azienda, ai fini della dimostrazione dello stato di ubriachezza del lavoratore, potrebbe ricorrere a presunzioni e/o indizi quali, ad esempio, le testimonianze di altri dipendenti, attestanti il forte odore di alcol o l’incapacità del collega di deambulare correttamente durante l’orario di lavoro, oppure la circostanza che il lavoratore non risponda alle domande dei colleghi o risponda in maniera insensata, biascichi le parole, abbia il respiro difficoltoso, vomiti, ecc. In tali evenienze potrebbe risultare estremamente utile, ai fini della raccolta della prova, richiedere l’intervento della squadra di primo soccorso aziendale nonché coinvolgere nella immediata fase di valutazione i responsabili funzionali e gerarchici del lavoratore.

Non è detto, tuttavia, che il valore probatorio di tali presunzioni risulti sufficiente o comunque decisivo a ritenere fondato l’addebito consistente nello stato di ubriachezza del lavoratore.

Sotto tale profilo, la Corte di Cassazione ha confermato l’illegittimità del licenziamento irrogato ad un lavoratore perché dall’istruttoria svolta era emerso che lo stato di ubriachezza manifestato dal lavoratore mentre era in servizio, oggetto della contestazione disciplinare che aveva dato luogo al licenziamento in questione, non era risultato sufficientemente dimostrato dalle prove testimoniali e documentali assunte. Da tali prove, infatti, era emerso che lo stato confusionale riferito da alcuni testi e oggetto di contestazione era dovuto all’uso di psicofarmaci e non all’abuso di alcol (Cass. civ. sez. lav., 2 dicembre 2014 n. 25487). Tale discrepanza tra quanto contestato (ubriachezza) e quanto accertato in sede istruttoria (utilizzo di psicofarmaci) è stata ritenuta sufficiente sia dai dai Giudici di legittimità che di merito per ritenere il licenziamento illegittimo.

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A chiosa di quanto evidenziato in precedenza, è opportuno evidenziare che l’ubriachezza del lavoratore (così come ogni altra fattispecie di alterazione psicofisica dovuta all’abuso di sostanze psicotrope) deve essere attentamente considerata dal datore di lavoro non solo quando riverbera in comportamenti che ledono il vincolo fiduciario o che, comunque, costituiscono una violazione del dovere di diligenza in capo al lavoratore, ma anche quando rappresenta solo un potenziale pericolo per la salute e la sicurezza del lavoratore e dei suoi colleghi. In altre parole, il datore di lavoro non deve ritenere l’(ab)uso di alcol o sostanze psicotrope come un fatto meramente attinente alla sfera privata del lavoratore ma come un comportamento che può sempre aumentare il rischio di incidenti sul luogo di lavoro (a prescindere dalla mansioni assegnate al lavoratore) e che, pertanto, come tale, deve essere attentamente considerato tra i fattori di rischio, ai fini del rispetto della normativa in materia di prevenzione dei rischi sul lavoro.

Infatti, è utile sottolineare come la prevenzione dei rischi di infortunio costituisca certamente la ratio delle sopracitate norme e dell’Intesa Stato Regioni del 2017. Non deve essere sottovalutata, pertanto, la responsabilità del datore di lavoro nel caso in cui dovesse venire meno all’obbligo impostogli dall’art. 2087 del codice civile, ossia quello di assicurare che il lavoro venga svolto nel rispetto delle misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

Sotto tale profilo, la sezione penale della Corte di Cassazione è intervenuta a più riprese, chiarendo i confini della responsabilità del datore di lavoro e stabilendo che: “il datore di lavoro, al di là delle disposizioni specifiche, è costituito garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale di quanti prestano la loro opera nell’impresa, con l’ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi all’obbligo di tutela, l’evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall’art. 40 c.p., comma 2[non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo]” (Cass. Penale, sez. IV, 20/05/2010, n. 23944).

Conseguentemente, nel caso in cui un lavoratore dovesse subire un infortunio, la circostanza che lo stesso sia stato facilitato dall’alterazione psicofisica derivante dall’abuso di alcolici non varrà ad escludere la responsabilità del datore di lavoro, poiché la condizione di ubriachezza del lavoratore non è circostanza eccezionale (e quindi non prevedibile dal datore di lavoro). A dire della Cassazione, dunque, lo stato di ubriachezza del lavoratore si porrebbe quale causa concorrente al verificarsi dell’infortunio e non quale fatto interruttivo, in grado di escludere il nesso causale tra il mancato intervento del datore di lavoro ed il verificarsi dell’infortunio stesso (Cass. Penale, sez. IV, n. 36272/2012).

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